Le sirene, in qualità di incantatrici e archetipi di sensualità, gettano radici nell’iconografia dai primordi ellenici.
Nella antica tradizione greca e romana erano dotate di ali di un volto e un corpo seducente e a partire dal ginocchio gli arti diventavano quelli di un volatile e venivano descritte come vergini simili a cigni, discostandosi dalle arpie i cui arti venivano associati al rapimento, inoltre erano strettamente collegate al mondo della musica.
Molto probabilmente il mito si era sviluppato prendendo spunto dalle grida di colonie di gabbiani che echeggiavano come canti di donna e si prestavano a essere interpretati come richiami.
I naviganti che si fossero lasciati ammaliare da quei suoni melodiosi avrebbero diretto la prua verso le sirene naufragando su scogli che non apparivano evidenti in lontananza. Virgilio cantava nell’Eneide: “Iamque adeo scopulos Sirenum advecta subibat difficilis quondam multorumque ossibus albos… ” e già (la nave) si appressava agli scogli delle Sirene, un tempo rischiosi e biancheggianti per le molte ossa.
Le Sirene si ricollegavano anche all’ade, infatti con la loro musica incantata facevano dimenticare alle anime dei defunti la loro vita sulla terra avvicinandoli al cielo, mentre gli echi della loro musica sulla terra portava ai vivi il ricordo di vite passate.
Il rapporto tra le sirene e il mondo dell'Ade è presente anche in Euripide quando, nell'Elena, la protagonista invoca le "piumate vergini" affinché la consolino con la musica del flauto e della cetra. Questo canto è in relazione con il ruolo delle sirene nei culti funerari: esse stazionavano alle porte degli Inferi con il compito di consolare le anime dei defunti con il loro dolce canto e di accompagnarle nell'Ade. Questo stretto collegamento con il mondo dei morti, testimoniato dalla ricorrente presenza delle loro immagini nel corredo delle tombe, fa supporre ad alcuni autori che le sirene fossero in origine degli uccelli in cui trovavano dimora le anime dei defunti. Ciò senza contare il ruolo che gli uccelli avevano nell'antichità come tramite fra il mondo dei morti e quello dei vivi.
Con la identificazione delle località omeriche, in età antica si ritenne che le sirene abitassero l'Italia centro meridionale. Strabone, in Gheographikà I,22, ci dice che i popoli marinari di Napoli, Sorrento, della Calabria e della Sicilia, le veneravano.
Questo ci fa pensare alle tante similitudini con le Lase della cultura etrusca e il posizionamento geografico nella nostra penisola ci conferma il sincretismo dei culti.
Inoltre in questi esseri sovrannaturali è racchiusa anche l’onniscienza cioè l’essere a conoscenza di tutto quello che è accaduto in passato, quello che sta accadendo nel presente e che accadrà in futuro. Le Lase infatti conoscevano i destini ed esercitavano la divinazione e venivano rappresentate sempre con flauti o lire.
Le sirene promettevano la conoscenza, infatti l’uomo da sempre ricerca è il sapere.
Ciò che l’uomo brama di sapere è custodito, per assurdo, in un essere che dovrebbe temere, ma che al contempo desidera. (e questo aspetto assimilabile concettualmente al serpente e all’albero della conoscenza nel binomio desiderio – trasgressione, conoscenza – perdita dell’innocenza e della salvezza).
E ora veniamo ad uno degli episodi forse più famosi che le vede come simbolo assoluto di tentazione. Ulisse, nell’Odissea, riesce, con ogni donna incontrata durante il lungo viaggio di ritorno da Troia, a gestire razionalmente il cedimento temporaneo. Poi, in ogni caso, riparte. Ma dalla maga Circe viene avvertito del richiamo irresistibile delle Sirene. Sicché il previdente Odisseo chiede di essere legato dai propri uomini all’albero della nave per evitare di cedere a quella che non è più una semplice tentazione, ma una malia d’amore che lo porterebbe all’auto distruzione pur bramando di ascoltarne il canto.
«Vieni, celebre Odisseo, grande gloria degli Achei, e ferma la nave, perché di noi due possa udire la voce. Nessuno è mai passato di qui con la nera nave senza ascoltare con la nostra bocca il suono di miele, ma egli va dopo averne goduto e sapendo più cose».
Nei primi secoli dopo Cristo, le sirene mutano forma probabilmente fondendosi con figure analoghe delle mitologie nordiche infatti perdono gli attributi da uccelli per diventare pesciformi.
Questo cambiamento quasi certamente si impose per differenziare le figure pagane che erano state proprie anche della cultura etrusca, dagli angeli cristiani, probabilmente anch’essi frutto di sincretismo, dato che a partire dal III secolo d.c. furono rappresentati dapprima senza ed in seguito, nel V secolo, con le ali ed in siti funerari, lentamente evolvendosi da mal’ akim (messaggeri barbuti) ad angeli privi di barba, alati ed eterei.
Le Sirene persero così le ali e misero le pinne, le troviamo così descritte nell’VIII secolo
“Liber monstrorum de diversis generibus”.
Le sirene pesciformi furono scolpite nelle chiese romaniche, imprigionate dalla costruzione stessa, talvolta bicaudate (e questo aspetto apre un altro capitolo vastissimo di simbolismi e rappresentazioni sacre) in molti casi costrette a sostenere, come capitelli, gli edifici. La pulsione primitiva veniva così catturata dalla pietra divina e finalizzata al bene o secondo diversa interpretazione conservata come immagine evocante il culto della dea madre soprattutto nell’Italia centrale.
Arriviamo al 1800 quando la sirena verrà ampiamente rappresentata nell’arte e non solo. In letteratura con Andersen ella rappresenterà l’ideale dell’amore romantico in controtendenza con la maggior parte delle raffigurazioni ( vedi nel blog Il favoloso Andersen parte I e II di Maria Grazia Morsella).
La più ampia raffigurazione di sirene, nella pittura, si attesta però nel XIX secolo quando fu rappresentata inequivocabilmente come donna fatale, irresistibile, che porta l’uomo a certa rovina. Per questo i pittori indugiarono, con compiacimento, sulle soavi nudità di queste figure, che, in molti casi, persero persino la coda, descrivendo questo essere molto seducente, con seni prominenti, dal corpo flessuoso e dalla capigliatura fluente simboleggiante tutte le seduzioni femminili e le tentazioni demoniache.
Questa premessa per giungere a mostrarvi le opere che raffigurano le sirene. in questo post vedremo
le opere di John William Waterhouse
John William Waterhouse (Roma, 6 aprile 1849 – Londra, 10 febbraio 1917) è stato un pittore britannico, appartenente alla corrente preraffaellita.
Viene considerato un "Preraffaellita moderno", in quanto i suoi lavori risalgono a qualche decennio dopo lo scioglimento della confraternita dei Preraffaelliti. La sua pittura infatti subisce da una parte la loro influenza stilistica, e dall'altra quella degli impressionisti suoi contemporanei. I suoi dipinti sono prevalentemente a soggetto mitologico o arturiano.
È nel decennio 1880 che John William Waterhouse comincia ad abbracciare il preraffaellismo: troviamo fra le opere le celebri interpretazioni della Dama di Shalott di Tennyson e si intensifica la sua opera legata a Shakespeare. Sempre più interessato al preraffaellismo, John William Waterhouse focalizza molta attenzione ai particolari naturali, fiori, piante… senza tuttavia trascurare l’insieme. Al centro di molte scene vi è sempre la figura femminile, spesso vista quasi in veste sacerdotale o attraverso figure mitologiche al femminile.
Rappresentazioni dell’eterno femminino, ma anche del significato simbolico del femminile: la natura è donna, l’acqua è donna, la seduzione è donna.
Come nei preraffaelliti, le tele alternano sacro e profano, mitologia e religione, poesia e storia antica.
Anche il decennio successivo si rivela una conferma della strada scelta da John William Waterhouse: una pittura sempre più concentrata sulla narrazione del femminile, letterario e simbolico.
Anche gli ultimi anni di vita di John William Waterhouse sono molto prolifici. Le sue opere non diventano mai fotografiche, ma fra la realtà e la tela il pittore interpone il filtro dell’arte, dell’interpretazione, della sublimazione.
John William Waterhouse è, attraverso i colori, a sua volta poeta.
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